Auditorium di Mecenate Roma

21 Aprile 2009

dall’ode di  Ignis ( Roggero MusumeciFerrari Bravo)

messa in scenae regia  di Francesco Franci / Vrtti Opera

in collaborazione con: Ricardo Bernardini,

Adattamento testo: Corrado Pala

Ambientazione Musicale live : Massimo Zuccaroli Twilight Music

Abiti d’Alta Moda Brioni, Laug,Sarli e e Gattinoni

a cura di Pia Soli

Tecnologie di luce: Timpani, Bologna

Illuminotecnica: Promo Service

Riprese video SBP, diretta da Glianni Blumthaler

 

Con: Riccardo Bernardini, Raffaello Fusaro, Emidio La Vella,  Maria Cristina Navarra,antonello Pascale.

Foto di scena

 

Rumon, Mito e  contenporaneità

 

Un popolo senza Mito non è un popolo, è solo un insieme eterogeneo di persone, una folla potenziale.

Il popolo romano, come tutti i popoli delle civiltà tradizionali, aveva una costellazione di miti, che in sintesi chiamava “Roma”. La città è il popolo, e il popolo è la città. Questo era avvenuto per Atene e per Sparta, ed era avvenuto anche per Troia, fino a  quando, distrutta la città, abbattute le mura, violato il suo quadrato magico, gli dei l’hanno abbandonata, ma il mito è fuggito con Enea, verso nuove terre, verso una nuova città, verso un nuovo quadrato magico. Virgilio racconta drammaticamente questa trasmigrazione del mito e dei suoi dei, dalle rive di un fiume, alle rive di un altro fiume, dall’acqua all’acqua, attraverso le acque del mare.

E lì incontra altri miti ed altri dei, italici ed etruschi, e con essi si fonde.

La cultura greca diventa cultura latina. L’anima greca si riflette nell’anima latina nell’immenso specchio dell’Anima Mundi.

Ma per consolidare questa unione, al di là e al di sopra di un facile eclettismo, è necessario un altro mito.

Il mito di fondazione. E’ necessario che il popolo  diventi città, attraverso un riconoscimento psicologico collettivo. Un nuovo archetipo va ad aggiungersi agli archetipi dell’inconsio collettivo (1). Un nuovo dio si aggiunge al Pantheon politeista romano. Quell’archetipo è la città che viene chiamata Roma, e quel dio è il suo fondatore mitico, Romolo.

Ora la città ed il suo popolo sono pronti a viaggio nella storia. Il  mito è fondato  quando l’eroe fondatore traccia con un aratro un solco quadrato, e quando sacrifica su quel suolo ciò che ha di più caro, dopo la madre, il fratello Remo. L’azione drammatica diventa mito. E quel mito è alla base della religione arcaica di Roma; non religione in senso cristiano, come dogma e annullamento rispetto a un dio, ma religione come atteggiamento collettivo di consapevolezza dell’identificazione di un popolo nelle sue radici etniche e magiche.

Che senso ha dopo tanti secoli, o millenni, rievocare quel mito? Non è esso stesso, assieme a mura e statue, crollato, dissolto, andato in rovina volato via? Rimasto soltanto nei testi di mitologia, o, peggio ancora nelle statuette di finto marmo per turisti? Sì, ma No, perché è un archetipo che, come tutti gli archetipi, è difficile sradicare totalmente dall’inconscio collettivo, malgrado lo sforzo di pervicaci religioni monoteiste.

Allora concediamoci, una volta ogni tanto, una volta all’anno il lusso di rispecchiarci nel nostro inconscio collettivo, di pensare a Roma non come una città rumorosa che pian piano, nei secoli ha perso l’anima(2), ma come un mito: il mito della fondazione del nuovo, del rinnovamento,  della primavera. Rinnovamento, non mero progresso. Perché progresso significa andare avanti, ma senza un rinnovamento, l’andare avanti è una mera illusione. Si può sempre tracciare un quadrato per fondare una nuova realtà psicologica, personale e/o collettiva; e magari sacrificarci  qualcosa di caro ma che ci impedisce di compiere l’opera.

Anche il mito della città è presente in tutte le tradizioni del mondo(3). La città e la sua fondazione, naturalmente, ma anche la sua funzione di novità sociale, di forza aggregativa, di difesa ma anche di apertura e sviluppo. La città subentra ovunque alla civiltà nomade. E’ Atene o Sparta, così “psicologicamente” diverse ma  così fortemente complementari; ma è anche  Veio, Albalonga o Roma Stessa. E  sarà poi, Parigi, Londra e dopo ancora new York. La città ed il suo mito.  Mito che diviene archetipo nell’”anima”, inconscio di tutti.

 

In questo quadro  si inserisce bene  un’opera, abbastanza sconosciuta, Rumon scritta , nel 1914, con lo pseudonimo Ignis, dal barone siciliano, l’avvocato Roggero Musmeci Ferrari Bravo, un artista e studioso di cose romane arcaiche, che ha composto una serie di odi delle quali, la terza, è proprio dedicata al mito della fondazione di Roma da parte di Romolo.

Da quanto sappiamo, l’autore lesse l’opera nel suo studio a critici di teatro ed intellettuali dell’epoca ed ottenne un certo successo. Ma fu rappresentata solo nel 1923, perché ritenuta  consona alla retorica fascista Dopo di che  più niente.

 

In scena?

Ora dopo poco meno di un secolo, affrancata dalla contingenza storica, e alla luce, moderna e contemporanea  dell’interesse diffuso  per la psicologia archetipale ed il mito, può essere interessante ripresentare pubblicamente quel testo,

Ovviamente in maniera contemporanea e totalmente svincolata  a qualsivoglia retorica e rievocazione.

L’idea è allora di produrre una semplice messa in scena, in uno spazio di suggestione  archeologica vale a dire l’Auditorium di Mecenate aRoma.

In scena il salotto di Ignis, con i suoi ospiti  che inerpretano il Carme.

 

Un’ambientazione contemporanea in uno spazio che risente della presenza dell’antico, Uno scenario perfetto.

La messa in scena, come già detto, non  sarà una triste rievocazione in costume, ma un evento contemporaneo con i segni e le modalità espressive e tecnologiche della contemporaneità.

Le luci di scena, la presenza di iper tecnologie luminose, la suggestiva presenza dell’Alta Moda, che veste mirabilmente gli archetipi femminili di Roma, l’ambientazione sonora tutte come soluzioni  scenico drammaturgiche che, comunque richiamano l’estetica teatrale contemporanea e d’avanguardia(4).

Così, semplicemente, solo per ricordare l’esistenza di quest’opzione poetica, e non come goffa rievocazione storica, si può  così anche interpretare nella contemporaneità, oggi,  l’ode lirica di Rumon, che drammaticamente esprime quel mito di fondazione, e di città.

 

La rappresentazione di Rumon può anche essere intesa come  un “sogno da svegli guidato” (5).

Guidato da Ignis, quale psicoterapeuta nei confronti dei suoi ospiti, quali pazienti.

Anche il salotto è sognato. Chi sogna e chi è sognato?

L'Anima, come l'anima mundi,  nasce dalla scissione  dell'unità tra cielo e terra,nell'irriducibile binarius.  E la memoria è l'eterno ritorno  che cerca ci colmare questa distanza, questa perdita dell'anima, per il doveroso lavoro del “fare anima”.

Il sogno notturno o diurno  lavorano in questa direzione(6).

Ed è un sogno guidato anche per gli spettatori, nel regnoarchetipico  dell'inconscio collettivo.

 

 Francesco Franci

 

 

Note:

1)     C.G.Jung – Gli archetipi dell’inconscio collettivo- ed Bollati Boringhieri.

2)     J Hillman – Anima Mundi

3)     Joseph Campbell – Le maschere del dio – ed Oscar Mondadori.

4)     Antonin Artaud – Il teatro e il suo doppio- ed Einaudi

5)     Robert Desoille – teoria e pratica del sogno da svegli guidato- ed Ubaldini

6)     C.G.Jung- Ricordi, sogni, riflessioni.ed. BUR Rizzoli.

torna indietro